Le Caprette Tibetane: Nuovi Animali Domestici

Le Caprette tibetane sono degli esemplari originari della Somalia e vengono soprannominate anche capre nane d’Africa. Di recente vengono allevate anche in Italia in giardini zoologici e fattorie. 
Il nome inganna, perché il Tibet non ha molto a che fare con le Caprette tibetane, anche se risultano molto adattabili e in grado di sopravvivere in habitat anche diversi da quelli in cui provengono, dove vige un clima umido e caldo e cresce una vegetazione arida e stepposa.

Queste vivono in generale in gruppi in cui rispettano severamente una gerarchia precisa: ci possono essere alleanze tra maschi, ma chi comanda è sempre una coppia maschio-femmina e seguono poi le femmine più giovani. Ancora più in basso troviamo i maschi precoci riconoscibili dalle loro corna piccole e dalla caratteristica barbetta sotto il mento. Le femmine addirittura possono non avere nemmeno le corna e se compaiono sono più corte e più sottili di quelle dei loro coetanei maschi.

Le Caprette tibetane misurano dai 35 ai 60 cm, le femmine sono sempre più piccole e longilinee e pesano 10 Kg in meno dei maschi, in media, che invece raggiungono i 30kg.

Il mantello inizialmente era marrone ma con gli anni ha assunto differenti colorazioni che, con gli incroci, si presenta molto vario: dal bianco al nero, con punte in camoscio, grigio o mantello pezzato. Quanto alla lunghezza del pelo, dipende dalla stagione, ma quello dei maschi è sempre più folto e si confonde anche con il fatto che sono più muscolosi e forzuti.

Sono animali onnivori, ma nella realtà mangiano soprattutto foglie, erba e arbusti. Questi animali amano molto anche foglie, germogli, cortecce degli alberi, granaglie, cereali non macinati e pane secco. Nel periodo primavera-autunno, si procurano da soli il cibo brucando l’erba all’interno del recinto. In queste stagioni le integrazioni con orzo in grani e altri vegetali sono utili, ma non indispensabili; invece, da novembre a marzo va fornito loro del buon fieno che va conservato in luogo asciutto. Quando si forniscono mangimi o granaglie è importante che non ne avanzino mai per i giorni successivi perché, se esposti all’umidità potrebbero creare grossi problemi agli animali. Teniamo conto che le caprette tibetane sono piuttosto ingorde e per questo è consigliato lasciare a loro disposizione dell’acqua sempre fresca e del cibo disponibile in qualsiasi momento della giornata.

In particolare, per la capra nana vanno somministrate:

–         Proteine: servono soprattutto alle madri che stanno allattando e agli esemplari giovani. Si trovano nell’erba medica, nell’orzo e nella soia;

–         Energia: viene fornita fondamentalmente dai carboidrati e dai grassi, reperibili soprattutto nei grani del foraggio, soprattutto orzo, non macinati;

–         Vitamine: essenziali sono soprattutto le vitamine A e D, importantissime per evitare malattie ossee, cardiache e muscolari. La vitamina D deriva soprattutto da foraggio esposto per un certo tempo al sole. Gli elementi con cui interagiscono positivamente sono, soprattutto, il calcio e il fosforo; questi elementi si trovano nell’erba medica e nelle granaglie;

–         Sali minerali: se la dieta quotidiana ne è scarsa occorrerebbe aggiungere una mistura formata al 50% da calcare e sale iodato. Nel ricovero è bene predisporre sale minerale in blocchi, indispensabile per mantenere sani gli animali.

Le neonate Caprette tibetane non arrivano a volte nemmeno a un chilo e si nutrono di latte materno per un mesetto ma sono subito capaci di muoversi: saltellano e cercano la madre per il latte, poi a sei mesi sono già svezzate. La vita media è di 10–12 anni, se tenute in cattività, perfino 20, ma sono casi molto rari.
Il ritmo di riproduzione è piuttosto elevato, tenendo conto che quando i cuccioli sono svezzati le femmine sono pronte da subito ad una nuova gravidanza.

Sono animali molto socievoli anche se è meglio tenerle lontane da fiori e siepi. I maschi, ad ogni modo, richiedono un’attenzione particolare, soprattutto nel periodo dell’estro. Possono infatti creare alcuni problemi con la loro irruenza e, soprattutto, il loro odore. Essi, infatti, andrebbero acquistati solo se si possiede un posto sufficientemente grande e attrezzato, dove poterli eventualmente tenere isolati anche alla sola vista delle femmine. Per una buona armonia del gruppo andrebbe tenuto un solo maschio per volta nel recinto delle femmine. Inoltre, andrebbe mantenuto lontano dalle femmine di età inferiore ai 18-24 mesi e fatto permanere nel recinto di comunità solo pochi giorni al mese.

La rabbia, i nematodi gastro-intestinali e la rogna sono alcune delle malattie che possono essere contratte e trasmesse dalle caprette tibetane. Bisogna prestare attenzione perché, alcune di queste possono essere trasmissibili all’uomo o ad altri animali. Alla stessa maniera altri animali o lo stesso uomo possono essere vettore di contagio per le caprette.
Importante comunque considerare che fra tutti gli animali allevati dall’uomo le caprette sono fra i più robusti e meno attaccabili dalle malattie.

 

Corretta Temperatura e Procedura per Incubare le Uova di Gallina

Nel processo di incubazione delle uova è fondamentale conoscere la temperatura e il tasso di umidità ideali che devono essere mantenuti nelle varie fasi fino alla schiusa.

Rispetto al passato, al giorno d’oggi gestire la temperatura dell’incubazione delle uova di gallina è molto più semplice. Questo perché le moderne incubatrici artificiali consentono di impostare la temperatura ideale in modo esatto, andando a modellare l’azione dell’elemento riscaldante che è al proprio interno.
Per questo motivo, per avere la garanzia di una perfetta schiusa di tutte le uova, sono le incubatrici artificiali gli accessori più adatti a ridurre il rischio di oscillazione della temperatura interna all’incubatrice, che potrebbe generare un nocivo stress all’embrione. Al contrario, un’impostazione manuale è molto più complicata, e richiederà delle attenzioni specifiche, oltre che l’utilizzo di termometri molto precisi.

La temperatura ideale all’interno dell’incubatrice con delle uova di gallina dovrebbe essere intorno a 38,5 gradi nel caso in cui non vi sia ventilazione forzata, o di 37,7 gradi se invece l’incubatrice è ventilata.
In ogni caso, la temperatura nell’incubatrice non è la stessa per l’intera durata del processo di sviluppo dell’embrione, ma subisce un decremento nella parte finale, quando ci si avvicina alla schiusa.
Per le uova di gallina la durata dell’incubazione è di circa 21 giorni: per i primi 18 giorni la temperatura va mantenuta attorno ai 37,7°C, con un’umidità del 57%, successivamente, a partire dal 18° giorno si entra nella fase di schiusa, per cui è indicato abbassare la temperatura a 36,9°C ed aumentare l’umidità tra il 66% e il 75%.

Prima di inserire le uova nell’incubatrice, è opportuno lasciarla accesa un paio d’ore per darle il tempo di stabilizzarsi.

Una volta che inizia il periodo di incubazione, è consigliato di aprire l’incubatrice il meno possibile. Questo perché l’apertura dell’incubatrice causa un abbassamento dell’umidità, che, in particolare durante il periodo di schiusa, rende più difficoltoso ai pulcini la rottura del guscio, aumentando il rischio che ne rimangano intrappolati all’interno senza possibilità di uscita.

Nel caso si verifichi un’interruzione di corrente e l’incubatrice resti senza alimentazione per qualche ora non bisogna assolutamente aprire il coperchio, per conservare il più possibile la temperatura all’interno. Inoltre, se possibile, è opportuno coprire l’incubatrice con una coperta, avendo però cura di staccare la spina, dato che al ritorno della corrente l’azione congiunta della coperta e dell’incubatrice rischia di far salire troppo la temperatura.
Nel momento in cui l’alimentazione risulterà di nuovo attiva, si può riattaccare la spina e togliere la coperta, avendo cura di verificare che la temperatura e l’umidità siano ai livelli ottimali. In alcuni modelli di incubatrice è comunque possibile mantenere i livelli ottimali di temperatura e umidità per alcune ore in assenza di corrente.

Il Coniglio Ariete Nano

Il coniglio ariete nano è una tra le più antiche razze di conigli domestici.
Questa specie appartiene alla famiglia dei Leporidi e all’ordine dei Lagomorfi e sono stati riconosciuti dall’American Rabbit Breeders Association come una vera e propria razza, che viene a sua volta suddivisa in cinque diverse tipologie.
La più antica varietà di coniglio della razza ariete fu la razza inglese, esistente nel Regno Unito già nell’età vittoriana: in quel periodo ebbe una grande diffusione che contribuì alla nascita di molti allevamenti di conigli.
Nel Novecento poi nacque la varietà francese, ottenuta incrociando quella inglese con conigli giganti fiamminghi; questa razza divenne molto famosa nell’Europa centrale e fu diffusa negli USA negli anni ’70.
Successivamente, nel 1949 poi l’allevatore di conigli Adrian DeCock, dei Paesi Bassi, iniziò a sviluppare una nuova varietà mediante l’incrocio dei conigli ariete di razza francese con dei conigli nani olandesi, riuscendo a ottenere, nel 1964, il “coniglio ariete nano“.

La specie chiamata “Ariete Nano” o anche Ariete Olandese venne ufficialmente riconosciuta nel 1980 come una razza dall’aspetto simpatico tanto da sembrare un peluche.

La testa di questi teneri coniglietti è molto compatta e le due orecchie non raggiungono terra. La distanza delle due punte delle orecchie è compresa tra i 24 e i 28 cm.
Il loro collo è praticamente invisibile e la nuca è molto corta mentre le zampe sono più lunghe, forti e diritte.

I conigli ariete nano si possono trovare in numerose varietà di colore e per essere soggetti da portare a una mostra, non devono mostrare nessuno dei seguenti difetti, per i quali non rispettano lo standard. La mancanza della tipicità della razza Ariete consiste in varie caratteristiche: il corpo troppo lungo, la muscolatura debole, la testa troppo fine, la corona mancante, il portamento eretto delle orecchie o anche solo di una, la lunghezza totale delle orecchie minore dei 24 cm o maggiore dei 28 cm, la pelliccia afflosciata, la prevalenza del bianco nei conigli pezzati, i soggetti non sviluppati sessualmente in relazione alla categoria che va in mostra. Ma vi sono alcune differenze, per ogni nazione, per ciò che riguarda il riconoscimento dei vari tipi di coniglio ariete.

Sono chiamate Ariete tutte quelle razze di conigli che hanno le orecchie cadenti sui lati della propria testa e sono incapaci di muoversi. La lunghezza delle loro orecchie, nelle razze Ariete, non è misurata a partire dalla punta fino ad arrivare alla base, ma si misura dalla punta di uno delle orecchie fino alla punta dell’altro orecchio.

Il coniglio di razza ariete nano ha di solito un peso che varia da 1,6 kg a 2,2 kg circa.

Punto di forza di questi animali da compagnia è la vista: grazie ai loro occhi infatti possono vedere fino a 360°. L’unico punto che non vedono è proprio quello davanti al loro muso e vedono sicuramente meglio da lontano piuttosto che da vicino.
Le orecchie, molto vascolarizzate, hanno un ruolo importante nel regolare la temperatura del loro corpo, e sono degli organi estremamente sensibili e delicati. Infatti, i conigli non devono essere assolutamente presi per le orecchie.

In natura, sono animali molto territoriali, ragione per cui si adattano con difficoltà alla convivenza con altri individui della stessa specie.

Importante considerare che il coniglio ariete nano ama rosicchiare non semplicemente come passatempo, ma proprio per il bisogno di tipo fisiologico allo scopo di consumare i denti che crescono in modo continuo. Riguardo a ciò è opportuno controllare spesso la salute dei denti perché, qualora non fossero abbastanza limati, si potrebbero provocare degli ascessi e delle ferite piuttosto serie. Non è bene quindi lasciarli troppo da soli perché vagano per la casa a curiosare.

Per quanto riguarda l’alimentazione dei conigli ariete nano un tipico comportamento, che può sembrare strano per noi ma che per loro invece è fondamentale per poter soddisfare i loro fabbisogni nutrizionali, è la cosiddetta “ciecotrofia”: si tratta dell’abitudine a mangiare le proprie feci poiché non sono del tutto digerite e quindi sono ricche di preziosi elementi nutritivi.
Sono animali erbivori e la loro alimentazione deve essere costituita da erba, verdura e fieno, che siano di buona qualità e sempre a loro disposizione. Sono sconsigliati invece i cereali e i fioccati i quali potrebbero provocare obesità e delle pericolose fermentazioni nel loro intestino. È anche possibile integrare la loro dieta con delle piccole quantità di frutta la quale, come le verdure, non deve assolutamente essere fredda o bagnata.

Per quanto riguarda l’aspetto sanitario i conigli ariete nani sono degli animaletti piuttosto robusti che si adattano bene a vivere anche all’esterno d’inverno. Fa loro male invece il caldo eccessivo o una eccessiva insolazione, la quale può provocar dei gravi colpi di calore.

A parte ciò anche i conigli ariete nani, come tutti gli altri animali, sono soggetti a diverse malattie, tra cui le principali e più comuni sono:

– la mixomatosi: una malattia virale che è molto pericolosa, e spesso anche letale; è estremamente frequente, perché viene trasmessa dalla puntura della zanzara; può essere prevenuta vaccinando il coniglio due volte l’anno. Non si trasmette né all’uomo né alle altre specie di animali;

– la malattia emorragica virale: è una malattia di tipo virale che può evolvere in pochi giorni con un esito che è spesso letale. Questa patologia si può prevenire con una apposita vaccinazione. Anche questa non è trasmissibile all’uomo.

– la coccidiosi: si tratta di parassiti epatici che, se si trovano nel cucciolo possono anche dare origine a delle infestazioni massicce, le quali provocano diarrea o anche morte qualora il caso sia grave. Spesso è dovuta a condizioni igienico-sanitarie non buone, ed è curabile con la somministrazione di alcuni prodotti anti-coccidi, sempre dietro la prescrizione del veterinario. Anche questa non si trasmette all’uomo.

– l’acariasi: è l’infestazione degli acari nel pelo o nelle orecchie. È possibile prevenirla attraverso un uso dei prodotti specifici che sono anti-acaro. È curabile con la somministrazione dei prodotti antibiotici dietro prescrizione veterinari. Alcuni degli acari possono trasmettersi anche agli uomini.

 

Il cane Shiba Inu

Lo Shiba è una razza autoctona del Giappone fin dai tempi antichi; nella terra d’origine la parola “shiba” indica qualcosa di “piccolo”, un “piccolo cane”: nell’habitat dello Shiba, la zona montana prospiciente il Mar del Giappone, questo cane era utilizzato per la caccia a piccoli animali o uccelli.

È una razza molto antica introdotta in Giappone dalla Cina tra il 6000 e il 300 a.C. Questi cani, grazie alle piccole dimensioni, alla resistenza, alla velocità e all’agilità, sono stati utilizzati per la caccia di uccelli, daini e cervi.
Lo shiba contemporaneo ha origine dall’unione di diverse antiche razze che, seppur differenti nella taglia, nel colore e nella morfologia sono state raggruppate sotto il nome di shiba dal medico veterinario Saito.
Dopo la Seconda guerra mondiale ha avuto una discreta e crescente popolarità, si è diffuso quasi subito negli Stati Uniti e a seguire in Inghilterra e in Australia, diventando in poco tempo un ottimo cane da compagnia. Attualmente sta avendo una discreta diffusione anche in altri paesi come l’Italia, l’Olanda, la Germania e la Francia e infine, da qualche anno a questa parte, anche nei paesi della ex Unione Sovietica.

E’ un cane di taglia piccola: le femmine hanno un’altezza di circa 36,5 cm al garrese mentre per i maschi lo standard è di 39,5 cm al garrese.
Non per questo deve però essere considerato un cane “da grembo”, infatti, pur avendo piccole dimensioni possiede una struttura fisica molto resistente, atletica e forte oltre ad una muscolatura notevole, eredità dei suoi antenati cacciatori.
Ha un muso lungo e una mascella potente, capace di grande presa sulla selvaggina, una testa dalla fronte molto ampia e piatta ed un tartufo scuro caratterizzato da una canna nasale dritta.
Le sue orecchie sono molto caratteristiche con la punta leggermente arrotondata, ed i suoi occhi scuri di forma affusolata. Il pelo di lunghezza media può presentare diverse tonalità di colore, tra cui il rosso che è il più diffuso, il nero focato, il sesamo, colore molto antico nonché raro da vedere, e il bianco, non più ammesso nei paesi europei.

I cani di questa razza hanno un carattere affettuoso, molto fedele, allegro e dinamico. Sempre pronti a giocare, si affezionano molto al padrone e restano diffidenti con gli estranei.

Lo Shiba è il classico cane da compagnia che si adatta perfettamente alla vita in famiglia. Tenendo in considerazione quelle che sono le sue necessità, è un cane che è in grado di ricambiare in maniera eccezionale le dimostrazioni di affetto e che tende a legare in maniera speciale con il proprietario. La sua condizione di cane relativamente “indipendente” è sempre legata alla sua educazione, un modo per indirizzare le sue attenzioni verso la famiglia e i suoi componenti.

Essendo un cane dalla tempra molto importante, la sua mole non deve ingannare tanto da considerarlo un cane da compagnia per i bambini.

È un buon cane da guardia e premesso che, tutti i cani dovrebbero essere educati a una giusta interazione con le persone non conosciute, lo Shiba è un ottimo avvisatore che terrà d’occhio la sua proprietà senza essere aggressivo.
È portato a segnalare l’arrivo e la presenza di sconosciuti nel territorio e sarà sospettoso, ma non timido, nei loro confronti.
La tendenza di molti cani, così come quella dello Shiba Inu, è quella ad avere una sorta di atteggiamento “guardingo” verso i loro consimili. Questo è un aspetto che può, tuttavia, essere influenzato da altri fattori come l’educazione, l’abitudine ad avere interazione con altri animali ed il sesso degli altri cani. Tendenzialmente questo tipo di fattori possono tutti essere gestiti in giusta misura, ma, in generale, questa razza può mostrarsi altamente competitiva con cani dello stesso sesso.

Caratteristiche dei Rapaci Notturni

I rapaci notturni appartengono all’ordine Strigiformes e si suddividono in due famiglie: Tytonidae, i barbagianni, e Strigidae, gufi, civette e assioli.
Sono diverse le caratteristiche che distinguono gli Strigiformi dagli altri uccelli: le più evidenti sono la coda, che è solitamente piuttosto corta e le ali che possono essere allungate come nel barbagianni o nel gufo comune, oppure tozze e corte come nell’allocco e nella civetta. Le ali lunghe permettono un volo molto agile, mentre le ali corte permettono un volo più veloce e si adattano meglio ad ambienti con molta vegetazione.
Il piumaggio di questi animali in generale è morbido, caratteristica dovuta ad una specie di velluto che ricopre tutte le penne. Questo, insieme alla sfrangiatura delle penne remiganti primarie, è un adattamento che conferisce la silenziosità del volo: si tratta di un’arma che permette ai rapaci notturni di catturare le proprie prede puntando sull’effetto sorpresa.
Anche la capacità di mimetizzarsi permette loro di studiare la propria preda per diverso tempo senza essere scoperti.
Nelle zampe, i tarsi sono tozzi e spesso ricoperti da piumino che ha lo scopo di proteggere da morsi dei roditori o dal freddo. La pianta del piede presenta cuscinetti che garantiscono una presa sicura su prede e posatoi e gli artigli sono adunchi e taglienti con quattro dita: due avanti e due indietro.

La vista dei rapaci è molto sviluppata, ma nei rapaci diurni e notturni questo avviene in direzioni diverse. Nei diurni la vista è sviluppata verso una maggiore definizione delle immagini, grazie ad un’elevata concentrazione di coni nella fovea e alla presenza di due fovee che funge da zoom naturale; nei rapaci notturni invece la vista è sviluppata verso un’efficiente visione notturna. Le dimensioni degli occhi sono enormi e la retina ha un’alta densità di bastoncelli, le cellule sensoriali che percepiscono la luce.
L’occhio di un rapace notturno intensifica quindi la poca luce ambientale presente, ma non è in grado di vedere nel buio totale, per questo la vista viene usata negli spostamenti ma non è sufficiente per l’individuazione delle piccole prede a distanza. Per questo scopo i rapaci notturni utilizzano principalmente l’udito. L’iride può essere di colore chiaro negli animali adattati alla vita notturna crepuscolare che non vengono infastiditi dalla luce solare forte e di colore scuro negli animali adattati all’attività notturna che sono molto infastiditi dalla luce. E’ invece di colore intermedio negli animali che possono essere attivi sia di giorno che di notte.

Mentre la vista viene utilizzata solo per spostarsi nel loro habitat durante la notte senza andare a sbattere negli ostacoli, l’udito è il senso più sviluppato e viene utilizzato nella caccia. Per amplificare le onde sonore i rapaci notturni possiedono numerosi adattamenti fisiologici ed anatomici, come la collocazione asimmetrica delle cavità auricolari e la struttura del volto che funge da parabola di amplificazione.
L’udito così amplificato permette a questi uccelli di individuare con precisione la presenza e la posizione di una preda anche a decine di metri di distanza anche senza vederla. Spesso i rapaci notturni inclinano la testa di lato con un movimento detto bobbing, che gli consente di inquadrare meglio la provenienza di un suono che ha catturato la loro curiosità.

Tutti i rapaci notturni sono carnivori e predatori. Essi si nutrono quasi esclusivamente di prede vive che cacciano da appostamento o mediante la ricerca in volo. Le prede più frequenti sono micro-mammiferi ed uccelli, ma anche invertebrati come lumache, lombrichi e insetti e più raramente rettili ed anfibi.
Alcune specie si nutrono anche di pesce e di mammiferi di medie dimensioni come conigli, lepri e cuccioli di volpe.

Come anticipato, i rapaci notturni cacciano con l’udito più che con la vista e per questo motivo presentano una tecnica di caccia molto diversa rispetto ai diurni. Per riuscire ad individuare una preda con l’udito, il cervello dell’animale deve elaborare una grossa quantità di dati e per questo motivo prima di partire all’attacco, l’animale resta sul posatoio diversi minuti per valutare quale sia il miglior approccio alla preda basandosi sul grado di oscurità, sulla copertura vegetale ed altri fattori.

I rapaci notturni presentano dei particolari linguaggi con cui manifestano il loro stato d’animo. Tra i più evidenti troviamo i comportamenti di difesa attiva e passiva.
Quando un rapace deve difendere il proprio territorio oppure vi è un pericolo molto vicino attua la difesa attiva ovvero gonfia il suo piumaggio per sembrare più grande e inizia a “ticchettare” con il becco in segno d’avvertimento. La difesa passiva viene invece attuata quando l’animale si sente minacciato da un pericolo e non deve farsi notare. Il primo adattamento a tale difesa è il mimetismo che viene sfruttato anche nella caccia. Il comportamento invece è l’opposto al meccanismo di difesa precedente in quanto il rapace tiene il piumaggio esageratamente stretto e aderente al corpo in modo che la sua figura risulti molto più piccola di quella normale.

La cura del piumaggio è un rito molto importante per questi animali che dedicano molte ore al preening. Tale tecnica consiste nella pulitura e lisciatura delle penne con il becco utilizzando un liquido oleoso impermeabilizzante prodotto dall’uropigio, una ghiandola posta sopra la coda. Lo scrolling invece serve a risistemare il piumaggio dopo la precedente operazione. Vi è infine lo stretching che viene praticato dopo un lungo sonno o periodo di riposo. Facente parte di questo comportamento vi è anche lo sbadiglio che non è tale ma serve a sgranchire i muscoli della mascella.
I rapaci notturni adottano comportamenti particolari anche in caso di eccessivo caldo o di freddo. Nel primo caso l’animale tiene le ali semiaperte e abbassate e può attuare la “fluttuazione gulare”, nel secondo caso attua un comportamento simile alla difesa attiva ovvero gonfia il piumaggio per ridurre la dispersione di calore.

 

Il Fagiano Argentato: Storia, Caratteristiche e Curiosità

Il fagiano argentato è un uccello della famiglia dei Fasianidi diffuso in tutto il mondo ma originario della Cina orientale e del Giappone. Si caratterizza per la sua straordinaria bellezza e la caratteristica principale che lo contraddistingue delle altre specie è il piumaggio del maschio adulto. Questo uccello misura circa 120-125 cm, compresa la coda che può misurare fino a 75 cm ed ha un peso che può oscillare tra i 1130 ed i 2000 g.
Il fagiano argentato possiede una lunga cresta che ricade in gran parte sulla nuca ed un mento e una gola neri che proseguono con un ventre di colore blu-nero brillante. Le parti superiori del corpo sono interamente bianche, striate di nero sui fianchi e, la coda, molto lunga e bianca, è parzialmente striata di nero. Una delle sue caratteristiche più notevoli sono le 
caruncole facciali di colore rosso vivo che costituiscono uno degli attributi essenziali.
I fagiani argentati acquisiscono totalmente il loro sgargiante piumaggio solamente nel corso del secondo anno di età. I maschi di un anno presentano spesso numerose macchie nere sul petto, mentre il resto del loro corpo è ricoperto da una livrea bruna con strisce di colore grigio chiaro. Le femmine presentano una colorazione generale bruno-oliva. Le striature ventrali variano da un esemplare all’altro ed è estremamente raro trovare due femmine dall’aspetto simile. Le caruncole facciali sono più ridotte e di colore più chiaro. Il becco è grigio e le zampe sono rosse. Gli esemplari immaturi somigliano molto alle femmine, ma presentano spesso colori più chiari o sbiaditi.

Sebbene talvolta si possano costituire compagnie molto numerose, il gruppo sociale standard è formato generalmente da un maschio e da due a cinque femmine. Questo gruppo rimane unito in qualsiasi periodo dell’anno. Dopo la schiusa delle uova, le femmine e i pulcini si ricongiungono al gruppo familiare nel giro di due settimane. In linea di massima, il maschio non prende parte né all’incubazione né all’educazione dei giovani, ma è in grado di prendersi carico di un gruppo di pulcini e di sostituirsi alla madre in caso di scomparsa di una delle femmine. Il fagiano argentato è un uccello piuttosto irrequieto e grintoso, con l’allevatore si mostra docile ma tende comunque ad attaccare durante la stagione degli amori.
Tendenzialmente rispetto ad altri membri del suo genere, è piuttosto socievole e se tenuto in cattività necessita di voliere ampie e ben ombreggiate ricche di piante basse dove potersi sentire a suo agio.

ll fagiano argentato è onnivoro ed ha una dieta particolarmente diversificata. Si nutre principalmente di frutti, semi, bacche, gemme, giovani foglie, germogli, bulbi e tuberi. Tuttavia consuma allo stesso modo anche varie sostanze di origine animale: 
insetti, vermi di terra, limacce e piccoli rettili.
In cattività dovrà nutrirsi di granaglie e frumento, mangimi bilanciati reperibili in commercio e alle quali andranno aggiunte verdura e tanta acqua fresca.

Generalmente, i fagiani argentati raggiungono la maturità sessuale nel corso del loro secondo anno. Tuttavia, non è raro che alcuni individui di un anno siano già fertili. Durante il periodo di riproduzione, i fagiani rimangono in piccoli gruppi composti da un maschio e da 2 a 5 femmine. All’interno di ciascun gruppo, il maschio occupa una posizione dominante. Le dimensioni della covata variano da 6 a 15 uova. Il periodo di incubazione non supera i 27 giorni e quando le femmine covano, il maschio rimane nei dintorni e veglia su di esse.

Tra le malattie comuni a cui potrebbe essere esposto troviamo la coccidiosi, la salmonellosi, il vaiolo e il morbo di Marek.

 

Fattoria Didattica: Cos’è e Come Aprirne Una

Per Fattoria Didattica si intende un’azienda agricola, caratterizzata dal lavoro dell’agricoltore che mette a disposizione il suo ambiente agricolo per accogliere gruppi scolastici, famiglie e singoli consumatori con lo scopo di mettere in comunicazione diretta l’agricoltura e il cittadino di tutte le età.
In questo modo, la fattoria didattica apre le porte ai propri visitatori, coinvolgendoli attivamente, per favorire il collegamento tra città e campagna, far conoscere l’ambiente rurale, l’origine dei prodotti alimentari e la vita degli animali.

La storia e le origini delle fattorie didattiche provengono dal Nord America e dall’Europa: esse infatti si svilupparono in questi luoghi come attività collaterali a quelle più prettamente agricole all’interno di aziende che volevano rilanciare il settore agroalimentare in forte crisi durante la fine del Novecento.
Lo scopo iniziale era quello di riavvicinare le giovani generazioni residenti nelle città alle aree rurali, in modo da permettere loro di riscoprire i prodotti tradizionali del territorio. In Italia nel 1997 venne creato l’Alimos Soc. Coop, un gruppo di fattorie didattiche romagnole e ad oggi in totale si registrano oltre 2.600 fattorie didattiche.

Parlando di fattoria didattica bisogna considerare anche i requisiti che questa deve avere. Alcune regioni hanno creato delle normative apposite per permettere l’accreditamento delle fattorie didattiche, richiedendo precisi standard. Vediamo ora di seguito alcuni dei requisiti che deve avere:

·        Educativa: lo scopo di una fattoria didattica è quella di avvicinare le persone a tematiche come l’educazione ambientale e alimentare. Per fare questo potrebbe essere necessario creare del materiale didattico di supporto con schede di valutazione per la struttura:

·        Sicurezza: una fattoria deve rispettare le norme igienico-sanitarie richieste. Inoltre, deve evitare gli accessi non autorizzati e deve predisporre i necessari segnali di pericolo. È richiesto anche che sia dotata di un’assicurazione per la responsabilità civile;

·        Attrezzatura: deve avere le necessarie strutture per soddisfare il progetto educativo indicato. Devono anche essere presenti i servizi igienici, una zona di accoglienza riscaldata per gli ospiti e alloggi per il pernottamento, soprattutto per le aziende agricole site lontane dai principali centri abitati e più lontane da raggiungere. Non devono naturalmente mancare gli spazi dedicati alle coltivazioni e agli animali per soddisfare le esigenze educative.

La fattoria didattica è un nuovo tipo di turismo, che mescola l’amore per la natura con l’apprendimento didattico. Si tratta di un progetto che mette in luce il patrimonio rurale italiano e tutte le pratiche relative a quel campo.

Tra le attività principali troviamo:

–         La raccolta della frutta e della verdura, tipici del territorio, per alimentare il chilometro zero;

–         La raccolta del miele;

–         Dare da mangiare agli animali;

–         Raccogliere le uova nel pollaio:

–         Visitare le stalle e imparare a mungere una mucca.

Come detto, una fattoria didattica è un’azienda agricola dove si coltiva la terra e si allevano animali ed è spesso adibita alla vendita diretta dei prodotti alimentari.
Viene detta “didattica” perché si tratta di un luogo dove s’impara, facendo: grazie a ciò i bambini e i ragazzi potranno imparare “sul campo” alcune delle attività e dei lavori del contadino, andando oltre all’aspetto pratico e assorbendo le nozioni più importanti.

Tra i benefici, troviamo la sensibilizzazione sul tema della tutela dell’ambiente e sull’importanza di adottare comportamenti etici e sostenibili e la possibilità di conoscere e avvicinarsi alle materie prime di qualità.

Per poter aprire una fattoria didattica, bisogna fare una richiesta all’amministrazione regionale o a quella provinciale, a seconda del territorio di riferimento.
L’iter, quindi, a cambia da regione a regione, ma è importante dimostrare di rispettare tutti i criteri sanciti dalla carta della qualità, preparando anche il personale in modo adeguato per poter tenere corsi abilitanti per l’animazione didattica in fattoria.

Alectorofobia: la Fobia delle Galline

Il termine Alectorofobia deriva dal greco “alektor” che significa gallo e “phobos” che significa paura. E’ una fobia molto diffusa che si caratterizza per un accentuata paura di galli e galline.

Questa fobia provoca una paura irrazionale delle creature piumate e a volte anche delle loro uova, tanto da causare attacchi di panico nei soggetti che ne soffrono. Nei casi più gravi non è solo il vedere i polli a provocare paura ma può bastare un’immagine o una fotografia di una gallina per scatenare tale reazione.
I sintomi di questa fobia specifica variano da persona a persona e a seconda del luogo in cui ci si trova, l’alectorofobia può avere un impatto più o meno importante sulla vita quotidiana causando un notevole disagio.

I sintomi dell’alectorofobia si manifestano quando ci si trova a contatto con dei polli o quando si pensa solo a loro. Tra i vari sintomi troviamo: ansia, stordimento, vertigini, sudorazione, tachicardia e tremolio.

Un soggetto può mostrare segni di ansia ancor prima di eseguire una visita a una fattoria o anche addirittura soltanto immaginando di poter essere accerchiato da un uccello piumato.
Le idee su quali sono le cause dell’alectorofobia non sono ancora del tutto chiare, così come in molte delle più rare fobie. Inoltre, molte persone che soffrono di fobie specifiche non ricordano con facilità come, quando o perché le loro fobie si sono sviluppate.

Vediamo di seguito quali potrebbero essere le cause che portano all’insorgere di casi di alectorofobia:

·        Esperienza negativa, infatti molte delle fobie legate agli animali provengono da un’esperienza negativa con quel determinato animale. Ad esempio, possiamo aver incontrato una gallina aggressiva da piccoli e da quel momento abbiamo sviluppato la fobia nei confronti di questi esemplari;

·        Genetica, che può essere trasmessa ai più piccoli dai genitori.

Per fare una diagnosi formale, gli specialisti possono utilizzare i moderni manuali diagnostici che permettono di identificare quali sono le caratteristiche tipiche di una serie di fobie. Per identificare l’alectorofobia, le più comuni comprendono:

–         una sensazione immediata di intensa paura, panico e ansia quasi ogni volta che si vede un pollo o si pensa alle galline;

–         sentimenti di ansia che aumentano quando si avvicina il momento di incontrare un pollo;

–         fare tutto il possibile per evitare di incontrare o vedere una gallina;

–         provare dei sintomi di paura che interferiscono con il normale funzionamento quotidiano di ogni cosa;

–         sentimenti di paura o ansia verso le galline che durano da più di sei mesi, o che persistono per sei mesi di continuo.

Sono diverse le metodologie e le terapie che possono essere utili per superare la paura delle galline. Tra le più note ci sono l’ipnoterapia o l’ipnoanalisi, che possono essere utili per aiutare l’individuo a determinare l’esatta causa della paura. Anche la programmazione neurolinguistica è un altro dei metodi utilizzati per curare l’alectorofobia: questa scienza si basa sul principio che un individuo crea parole legate alla fobia e continua ad usarle e a pensarle e a ripensarle. Fattore che può dare il via alla paura in primo luogo.
Il comportamento cognitivo e le terapie comportamentali che comportano l’esposizione e la graduale desensibilizzazione alla paura, possono essere utili per imparare a tollerare l’ansia vissuta in questi casi.

 

I Fenicotteri Rosa

Il fenicottero rosa o fenicottero maggiore è la specie più grande e diffusa della famiglia dei fenicotteri.
Questa specie è diffusa in Africa, nel subcontinente indiano, nel Medio Oriente e nell’Europa meridionale. 
I suoi parenti più stretti sono il fenicottero rosso e il fenicottero cileno, che in precedenza erano considerati conspecifici con il fenicottero rosa, ma ora sono considerati specie separate. Il fenicottero rosa è la più grande specie vivente di fenicottero, con un’altezza media di 110-150 centimetri, un’apertura alare di 240 centimetri e un peso di 2-4 kg. I maschi sono un po’ più grandi delle femmine e, in alcuni casi possono raggiungere anche i 187 centimetri d’altezza ed un peso di 4,5 kg.

Il piumaggio di questi uccelli è principalmente bianco-rosato, mentre sulle ali le penne copritrici sono rosse, mentre le penne remiganti primarie e secondarie sono nere. Il becco è rosa con una macchia nera sulla punta, le zampe ed i piedi palmati sono rosa-fucsia. Anche la pelle del volto è rosa con le iridi gialle.
Contrariamente agli adulti, i pulcini nascono ricoperti da una soffice peluria grigia e anche gli adulti che allattano i pulcini perdono vivacità divenendo più pallidi, ma mantenendo le zampe rosa brillante. Questa colorazione deriva dai pigmenti carotenoidi negli organismi che vivono nei loro ambienti d’alimentazione.

Uno dei comportamenti più particolari dei fenicotteri rosa è il riposare su di una zampa sola, nascondendo l’altra sotto il corpo. Secondo alcune teorie stare su una zampa sola consente agli uccelli di conservare più calore corporeo, dato che trascorrono una quantità significativa di tempo all’interno di acque fredde. Ma pensandoci bene, questo comportamento si verifica anche in acque calde e si osserva anche in esemplari che stanno a terra. Nasce dunque una teoria alternativa che sostiene che stare in piedi su una zampa riduce il dispendio energetico per produrre lo sforzo muscolare di stare in piedi e bilanciarsi.

La durata della vita media in natura è di 30-40 anni.
I fenicotteri sono considerati uccelli molto rumorosi con i loro versi e vocalizzi che vanno da grugniti o ringhi ad un richiamo gracchiante e sonoro, simile a quello delle oche.
Le vocalizzazioni giocano un ruolo importante nel riconoscimento genitore-pulcino, nei rituali di corteggiamento e nel tenere insieme le grandi colonie. Come le altre specie di fenicotteri, il fenicottero rosa è un uccello filtratore che si nutre prevalentemente di gamberi salamoia e alghe blu-verdi, nonché di larve di insetto, piccoli insetti, molluschi e crostacei, rendendoli onnivori. Quando cerca il cibo nelle acque fangose, l’animale solleva il fango con i larghi piedi palmati, per poi risucchiare l’acqua attraverso il becco che si presenta appositamente adattato per separare questi microrganismi dal fango e dal limo, posizionando il becco a pelo dell’acqua. Questi uccelli si nutrono a testa bassa, e la mascella è mobile non essendo fissata rigidamente al cranio.
I fenicotteri rosa sono uccelli gregari, le cui colonie possono arrivare a contare anche migliaia di individui. Si ritiene che queste grandi colonie servano a tre scopi: proteggersi dai predatori, massimizzare l’assunzione di cibo e utilizzare siti di nidificazione in modo più efficiente.
Prima dell’accoppiamento, le colonie si dividono in gruppi di riproduzione di circa 15-50 uccelli. In questi gruppi, sia i maschi che le femmine eseguono un’esibizione rituale sincronizzata. Durante queste esibizioni, tutti gli individui si muovono all’unisono, allungando il collo verso l’alto, muovendo costantemente la testa a destra e a sinistra, emettendo talvolta dei richiami e sbattendo le ali. 

I fenicotteri rosa sono una specie monogama, sebbene nelle colonie più grandi a volte possano cambiare compagno, forse per via della scelta più ampia. Solitamente, è la femmina a scegliere il luogo dove costruire il nido e la copulazione si verifica durante la costruzione del nido, che a volte viene interrotta da un’altra coppia che cerca di rubare il luogo di nidificazione.
Le femmine depongono un singolo uovo per covata e dopo la schiusa, entrambi i genitori si occupano del pulcino: questo grazie alla possibilità di nutrire i piccoli con il loro latte dal gozzo, prodotto in ghiandole che rivestono l’intero tratto digerente superiore.
L’ormone prolattina stimola la produzione di questo latte, che, per via dell’alimentazione degli adulti, è di colore rosso e che contiene grassi, proteine, globuli rossi e bianchi. 
Per i primi sei giorni dopo la schiusa, gli adulti e i pulcini rimangono nei siti di nidificazione e all’età di circa 7-12 giorni, i pulcini iniziano a uscire dal nido esplorando l’ambiente circostante.
A due settimane di vita i pulcini si riuniscono in piccoli gruppi chiamati “micro colonie” in cui i loro genitori cominciano a lasciarli da soli sempre più a lungo. Successivamente questo gruppo diventa sempre più grande fino a contenere migliaia di pulcini.

In Italia questa specie nidifica regolarmente in Emilia Romagna, Puglia, Sardegna e Sicilia.

 

Il Pinguino Imperatore

Il pinguino imperatore è un uccello dell’Antartide, ed è il più alto, il più grande e il più pesante tra tutti i pinguini.
Maschi e femmine hanno un piumaggio simile e spesso hanno le stesse dimensioni che si aggirano intorno ai 125 cm e un peso compreso tra i 20 e i 40 kg.
Il peso varia anche in base alla stagione, poiché questi animali, sia i maschi che le femmine, perdono gran parte del loro peso durante il periodo di allevamento dei pulcini e della cova delle uova
Il dorso e la testa sono neri e il ventre è bianco, mentre la parte alta del petto è color giallo chiaro; particolarmente evidenti sono due macchie giallo brillante a livello delle orecchie. Come gli altri pinguini, anch’esso è incapace di volare e le sue ali rigide e appiattite con il corpo affusolato sono particolarmente adatti all’ambiente marino.

Si cibano principalmente di pesci, in particolar modo crostacei o come cefalopodi come i calamari. Mentre dà loro la caccia, può restare sott’acqua anche 20 minuti, immergendosi fino a una profondità di 600 m. La specie è ben adattata alle immersioni, in quanto possiede un’emoglobina dalla struttura particolare in grado di operare con bassissimi livelli di ossigeno. Il pinguino imperatore possiede inoltre delle ossa solide che gli permettono di resistere ai baro-traumi, nonché la capacità di ridurre il 
metabolismo e di mettere a riposo alcune funzioni non vitali.

Il pinguino imperatore è noto per il ciclo vitale ben regolato, con gli adulti che ripetono ogni anno lo stesso rituale per riprodursi e allevare i propri piccoli: è la sola specie di pinguino che si riproduce nel corso dell’inverno antartico. Maschi e femmine effettuano un lungo viaggio sul ghiaccio di 50–100 km per formare delle colonie che possono comprendere migliaia di individui. Le femmine depongono un unico uovo, poi lasciano al maschio il compito della cova e tornano verso il mare in cerca di nutrimento e successivamente le femmine torneranno alla colonia, e allora saranno i maschi a dirigersi verso il mare, mentre le femmine rimarranno insieme al pulcino. I genitori continueranno a fare la spola per l’approvvigionamento fino al termine delle cure parentali.
L’aspettativa di vita del pinguino imperatore è generalmente di 20 anni.

Come tutti i pinguini, il pinguino imperatore ha un corpo slanciato per limitare le forze di attrito durante il nuoto, e delle ali simili a pinne piatte e rigide. Durante il periodo nuziale, l’adulto presenta delle piume di un nero intenso sul dorso, che ricoprono anche la testa, il mento, la gola e il sopra delle ali. Questo piumaggio nero è ben delimitato dal piumaggio più chiaro che copre il resto del corpo. L’interno delle ali e il ventre sono di colore bianco, che sfuma nel giallo chiaro nella parte alta del petto, mentre a livello delle orecchie si trova una macchia color giallo brillante. Il becco, lungo circa 8–10 cm, è incurvato e parzialmente ricoperto di piume. La sua parte superiore è nera, mentre quella inferiore può essere rosa, arancio o lilla. La lingua è munita di setole disposte in modo che la preda catturata non possa fuggire. Le zampe palmate sono nere.

Il pinguino Imperatore vive e si riproduce in un ambiente più freddo di qualsiasi altra specie di uccello. La temperatura dell’aria può scendere fino a -40 °C, con venti che soffiano fino a 150 km/h. L’acqua di mare, di -2 °C, presenta una temperatura di gran lunga inferiore rispetto a quella corporea dei pinguini di 40 °C. Essi devono quindi adattarsi per limitare le perdite di calore. Tra l’80 e il 90% dell’isolamento dei pinguini è garantito dal loro piumaggio. Le piume sono rigide, corte e lanceolate, e ricoprono tutto il corpo: con 15 piume per cm², i pinguini imperatore hanno il piumaggio più fitto di qualsiasi altro uccello. Uno strato isolante supplementare è formato da dei filamenti soffici presenti tra la pelle e le piume. Dei muscoli permettono al pinguino di mantenere erette le piume quando si trova a terra, in modo da ridurre le perdite di calore intrappolando uno strato d’aria tra la pelle e le piume. Al contrario, quando è in acqua, le piume vengono premute contro la pelle, in modo da assumere una sagoma più idrodinamica per nuotare meglio. La toeletta è importante per i pinguini al fine di conservare un buon isolamento e un piumaggio ben impermeabile. L’isolamento è anche garantito da uno spessore di grasso protettivo che all’inizio della stagione riproduttiva può raggiungere i 3 cm. Questo strato di grasso limita il pinguino imperatore nei suoi movimenti, soprattutto in confronto al suo cugino meno ben fornito di grasso, ma più agile, il pinguino di Magellano.