La Rhode Island: Orgini, Caratteristiche e Curiosità

La Rhode Island è una razza di pollo statunitense, nata nella seconda metà del XIX secolo.
Si presenta come un esemplare di tipo utilitario, buona produttrice sia di uova che di carne. È presente in due varietà di colore, la Rosso Mogano (la più diffusa) e la Bianca. Quest’ultima varietà non ha mai raggiunto la popolarità dell’altra e secondo molti autori, soprattutto negli Usa, viene considerata una razza a sé stante; in effetti alla sua creazione hanno preso parte la Livorno bianca dalla cresta a rosa, la Wyandotte bianca e la Cocincina perniciata. Le origini di questa razza non sono ad oggi del tutto chiare, considerando le numerose quantità di razze che hanno preso parte alla sua creazione.
Prende il nome dall’omonimo stato americano, e secondo la storia ufficiale, sarebbe nata ad Adamsville, un piccolo villaggio nelle vicinanze di Little Compton.
Inizialmente vennero incrociate la Cocincina Perniciata e il Combattente Malese rosso a petto nero, importate da poco negli 
USA, con polli locali; gli ibridi nati da questi incroci vennero poi accoppiati con la Livorno collo oro dalla cresta a rosa e con la Wyandotte.
La prima varietà creata era rossa e con cresta semplice; successivamente furono selezionate la varietà con cresta a rosa e quella bianca.
Nel 1925 il Rhode Island Red Club of America ha donato fondi per la costruzione di un monumento in onore della razza da erigere ad Adamsville. Questo monumento è stato inserito nel Registro nazionale dei luoghi storici.
È una tipica razza americana di medie dimensioni, creata con lo scopo di avere ottimi polli da tavola e al tempo stesso ottime ovaiole pesanti. La testa è di media grandezza, con una cresta semplice a cinque punte, portata diritta in entrambi i sessi; la varietà con la cresta a rosa ha una cresta carnosa, larga e aderente al capo, di cui segue la linea. Gli occhi sono larghi, prominenti e dall’iride rosso chiara, gli orecchioni sono ovali e rosso brillanti e i bargigli sono di media lunghezza e perfettamente lisci e fini.
Il dorso si presenta lungo e largo, portato orizzontale al livello delle spalle. La coda è di media lunghezza, e forma con la linea del dorso un angolo di 40° nel maschio e di 30° nella femmina.
L’addome è pieno e ben arrotondato, le zampe sono mediamente lunghe, con tarsi forti, lisci, e di colore giallo. Il peso è di 4,000 kg nel gallo e di 3,000 kg nella gallina.

E’ un esemplare vigoroso, molto rustico e anche docile con il padrone. Si tratta di un’ottima produttrice di uova rossicce e di carne a pelle gialla. Come la New Hampshire, anche la Rhode è usata per creare ovaiole ibride di tipo commerciale e polli auto sessati fin dalla nascita. A questo scopo vengono incrociati maschi di Rhode Island rossa con femmine Sussex columbia: i pulcini che nasceranno da questa unione potranno essere sessati fin da subito in quanto i maschi prenderanno il colore della madre (bianco/grigio) mentre le femmine quello del padre (rosso).

Il Gatto del Bengala

Il gatto del Bengala conserva nel suo nome tutti i tratti tipici della sua natura selvatica.
È infatti un esemplare dal carattere turbolento, dinamico ed affettuoso con la famiglia.

La prima traccia dell’incrocio tra un gatto domestico e un gatto leopardo si ha nel 1889, quando Harrison Weir, un inglese con la passione per i gatti, la menzionò nel suo libro Our Cats and All About Them.
Una seconda notizia dell’incrocio tra il gatto domestico ed il gatto leopardo si ha in un giornale scientifico belga nel 1924 e successivamente nel 1941, quando un editore giapponese stampò un articolo riguardo ad uno di loro, tenuto come animale domestico.
La prima allevatrice a portare avanti la razza è stata Jean Mill, originaria dell’Iowa, che lavorò attivamente in un programma di conservazione del gatto leopardo.
È stata la prima ad incrociare deliberatamente un gatto leopardo con un gatto domestico nero ma tuttavia la razza non ha mai preso realmente il via fino al 1970 quando Mill decise di riprendere il progetto. Nel 1975 un gruppo dei suoi gatti venne donato alla Loma Linda University, per uno studio genetico da parte di Willard Centerwall che tentò di studiare la leucemia felina nei gatti domestici.
Il gatto del bengala è una razza felina ibrida derivante dall’incrocio del gatto domestico e del gatto leopardo asiatico.
Successivi incroci per rendere meno selvatico il Bengala furono sperimentati con il gatto Egiziano, il Burmese, l’Abissino e l’Ocicat.

Ad oggi, gli esemplari di gatto del bengala di terza generazione conservano solo in parte il carattere selvatico del loro progenitore, ma in generale si dimostrano molto più docili e mansueti di quanto si creda.
Il riconoscimento ufficiale della razza è avvenuto solo nel 1991, il che fa del gatto del bengala una razza felina relativamente recente.
Il gatto del bengala è un gatto domestico di grossa taglia e forma allungata che a seconda dei casi può arrivare a pesare anche 9 kg.  Fisicamente presenta una struttura muscolare molto sviluppata che si accompagna ad una reattività, una dinamicità e una velocità di corsa davvero notevoli.

Per questo motivo ha bisogno di muoversi e sfogarsi in grandi spazi o giardini. Esattamente come quella del suo progenitore selvatico, la testa del gatto del bengala è di forma triangolare, ben proporzionata al corpo e con un naso molto lungo rispetto ai gatti comuni. Gli occhi grandi e intelligenti possono essere gialli, verdi o azzurri nel caso della variante ‘Snow Bengal‘, varietà simile al siamese ma dalla colorazione del mantello molto più chiara.
Il mantello è costituito da un pelo corto, fitto, aderente al corpo e setoso, a macchie o striato, con colorazioni di base che variano dal giallognolo all’arancio-rossastro con macchie marroni, cioccolato o cannella. Altro particolare estetico distintivo è la coda, di media lunghezza ma con la punta arrotondata.
Pur essendo un gatto domestico, è bene ricordare che nelle sue vene scorre sangue selvatico che caratterizza la vita di questo gatto in ogni sua fase. Adora saltare, correre, dar la caccia ai piccoli animali e nonostante sia affettuoso, docile e giocherellone il suo rimane un caratterino turbolento e imprevedibile. 
Ciò che colpisce di più è la sua iperattività e l’irrefrenabile voglia di arrampicarsi, saltare, curiosare ovunque e osservare il mondo ‘dall’alto’. Per tutti questi motivi ha bisogno di spazio per sgranchirsi le gambe, affilare le unghie ed esercitare i muscoli. La vita in appartamento gli è congeniale e anche la convivenza con bambini e altri animali, a patto che si rispetti la sua privacy e si osservi qualche regola basilare di pacifica convivenza. Non adatto a padroni pigri o non disposti al gioco.
L’alimentazione deve essere regolare e attenta perché tende a soffrire di problemi gastro-intestinali. Predilige pollo crudo e carne cruda magra, da evitare il latte e i suoi derivati.

La toelettatura non necessita di particolari cure, a parte la regolare manutenzione delle unghie, un’adeguata pulizia delle orecchie di tanto in tanto e sporadiche spazzolate, più frequenti durante la muta.

 

Come disinfettare il Pollaio con la “Calce Spenta”

Nei mesi più caldi il pollaio è maggiormente soggetto ad infestazioni di parassiti come acari, pidocchi, ragni e pulci, che rendono la vita difficile alle galline.
In questo articolo vedremo come disinfettare e disinfestare il pollaio con la calce.

Disinfettare il pollaio con la calce è uno dei metodi più facili da eseguire che possiamo svolgere in autonomia e in maniera proficua per garantire salute alle nostre galline e ai nostri animali da cortile.
Il trattamento disinfettante e sanificante di cui parliamo, può essere eseguito sia per gli ambienti esterni dedicati al razzolamento che per quelli interni utilizzati dagli animali come ricovero notturno e zona di cova.
Per una corretta disinfettazione rispettosa della salute degli animali dobbiamo usare esclusivamente calce idrata, chiamata anche “Calce Spenta”.
In questa operazione si utilizza la calce idrata per sfruttare la sua funzione disinfettante da intendersi come capacità di inglobare lo sporco e gli agenti patogeni che possono annidarsi nel pollaio, oltre che a sottrarre acqua e umidità all’ambiente.
Il trattamento disinfettante a base calce è ottimo anche per la pulizia di pareti e pavimenti cementati del pollaio in quanto va a creare una crosta bianca protettiva contro i batteri.
Funziona ugualmente, ma meno efficacemente, sui suoli in terra battuta perché in questi casi la terra smossa può proteggere le uova dei parassiti che possono così sopravvivere sotto lo strato superficiale.
Dopo aver eliminato dalle superfici da pulire lo sporco presente, saranno pronte per il trattamento vero e proprio.
Per la pavimentazione distribuiamo la calce idrata così come l’abbiamo estratta dal sacco acquistato e la spolveriamo in maniera omogenea su tutto il suolo.
A questo punto possiamo procedere diluendo una parte di calce spenta in acqua così da ottenere una soluzione. Il quantitativo consigliato da utilizzare è di 1kg di calce per 9 lt di acqua.
Questo è un legante naturale “ecologico” composto principalmente da idrossido di calcio e acqua e va diffuso con una pompa a mano o con un nebulizzatore direttamente su pareti e soffitto.

Quando la superficie trattata appare bianca con una crosta visibile, ci rendiamo conto che il trattamento è idoneo.
Successivamente cospargiamo fieno, paglia o segatura attorno alla zona dove le galline vanno a deporre e a covare così da creare una sorta di tappeto calpestabile dalle galline. Questo materiale consente di pulire le zampe dalla calce e dalle deiezioni che si accumulano nel tempo sul fondo del pollaio per evitare che venga portato nel nido di deposizione ed entri in contatto diretto e prolungato con le uova.
Se il trattamento viene effettuato alla mattina, alla sera possiamo far rientrare le galline nel pollaio.
Oltre che al trattamento con la calce, è possibile utilizzare anche l’insetticida Naturale contro l’acaro rosso delle galline.
Questo insetticida, a base di farina fossile e composto da diatomee ed agisce in modo efficace contro l’acaro rosso, molto comune in estate nei pollai e/o cucce dei nostri amici animali. Oltre all’acaro, questo prodotto è estremamente efficace anche contro pulci e formiche.
I parassiti muovendosi sulla polvere ne vengono cosparsi e gli animaletti muoiono in poche ore per disidratazione.

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Perchè il Gatto è diventato Aggressivo

Le cause che scatenano un comportamento aggressivo nel gatto sono molteplici.
Se il gatto improvvisamente diventa aggressivo è importante valutare il contesto e la situazione, che vede l’interazione tra aspetti genetici, ormonali, neuronali e ambientali. È importante sottolineare che gatti adottati precocemente o svezzati dall’uomo sono più inclini a manifestare aggressività, molto probabilmente a causa di un alterato processo di svezzamento o di un distacco precoce dalla madre e dagli altri gattini. L’alterazione delle fasi di sviluppo influisce sicuramente sul corretto sviluppo comportamentale dell’animale, che può manifestare una mancanza di autocontrollo, di inibizione del morso, e può non essere in grado di affrontare e superare un conflitto interno o una situazione di stress.

Stimoli ambientali e sociali possono giocare un ruolo importante nello sviluppo dell’aggressività. Infatti, gatti lasciati per molto tempo da soli in casa spesso vivono in un contesto che non soddisfa pienamente le loro esigenze etologiche di gioco, predazione ed interazione sociale.
Spesso i gatti diventano aggressivi quando non stanno bene: i cambiamenti comportamentali improvvisi possono essere infatti segnali di malessere e non devono quindi essere trascurati. Se il gatto diventa stranamente insofferente, non vuole essere toccato o coccolato, tende a soffiare o a isolarsi e addirittura a mordere quando ci si avvicina, è assai probabile che abbia dolore.

Un gatto può manifestare un comportamento aggressivo anche quando si sente minacciato e quando è impaurito. Che sia la presenza di un altro gatto, oppure di un cane, di uno sconosciuto o un cambiamento nella sua routine giornaliera, la sua reazione sarà probabilmente difensiva e aggressiva: si tratta di un comportamento istintivo, determinato da una situazione di disagio. Anche il sovraffollamento può essere una causa di disagio nel gatto: quando il felino deve condividere il suo spazio con troppi animali o troppe persone è facile che manifesti la frustrazione con l’aggressività.

Quando il gatto manifesta comportamenti aggressivi è importante non sottovalutare la situazione e capirne la causa insieme al medico veterinario. Talvolta non è nemmeno il caso di cercare di rassicurarlo con coccole e carezze: un gatto infastidito generalmente non gradisce il contatto fisico e potrebbe reagire nuovamente in modo aggressivo. Uno degli approcci da attuare nel momento in cui si manifesta la spiacevole situazione potrebbe essere quello di ignorarlo e lasciare che si isoli in un luogo tranquillo per potersi rasserenare. Questi comportamenti non devono essere ignorati da parte del proprietario ed è sempre opportuno indagarne la causa sottostante portando il gatto in visita dal proprio medico veterinario.

Nel gatto esiste anche una forma di aggressività territoriale, che si manifesta in particolare con le persone estranee che entrano in casa o con gli individui, gatti o altri animali che oltrepassano la distanza individuale. L’aggressività non è sempre offensiva. In alcuni casi può̀ essere difensiva e scaturire dalla paura. Le risposte dell’animale che si trova in uno stato di paura sono: immobilizzarsi, fuggire e aggredire. Quando i primi segni di minaccia non sono percepiti come tali dal proprietario, l’aggressione diventa sempre più violenta.

Un’aggressione è considerata normale se è idonea al contesto, rispetta la struttura della sequenza comportamentale dell’aggressione e se lo stato emotivo e reattivo dell’animale torna alla normalità al termine della sequenza. Invece, un’aggressione è considerata patologica, se avviene in un contesto inappropriato o impossibile da identificare, quando non è seguita da un ritorno alla normalità dell’animale o quando è associata a un’alterazione della sequenza. Riuscire a individuare le cause precise che sottintendono il comportamento aggressivo è molto importante ai fini della diagnosi e dell’impostazione di una corretta terapia.

 

Cosa fare se il Cane mangia troppo in fretta?

Quando ci accorgiamo che il nostro cane mangia troppo in fretta la sua razione giornaliera, è bene intervenire per cercare di evitare questo comportamento, che non va affatto bene per la sua salute e che potrebbe andare incontro a rigurgito, vomito e cattiva digestione.

Le ragioni di questa azione possono essere molteplici, ma nella maggior parte dei casi il cane tende a mangiare in fretta per paura che qualcuno possa rubare il suo cibo.
Se, ad esempio, il cane faceva parte di una cucciolata piuttosto numerosa, è probabile infatti che abbia dovuto “lottare” per conquistare il cibo quando era piccolo.
Fin dai primi giorni di vita, il cucciolo, sordo e con gli occhietti ancora chiusi, compete con i suoi fratellini per arrivare alle mammelle della madre. La sua capacità di arrivarci e di nutrirsi a sufficienza gioca un ruolo importantissimo, e arriva ad essere in alcuni casi una questione di vita o di morte.
Stesse ragioni anche per gli ex-ospiti di canili o rifugi. Anche se di cibo ce ne fosse stato in abbondanza, in quel periodo era stato abituato a convivere con altri cani adulti, e “farsi rispettare” in un certo senso al momento del pasto.
Infine potrebbe anche essere un comportamento riconducibile ad una fame smisurata e quindi in questo caso bisognerà riconsiderare le quantità delle razioni giornaliere.

I rischi di questa azione sono che mangiando troppo velocemente è probabile che il cane abbia alcuni problemi di digestione. L’organismo infatti impiegherà più tempo a processare il cibo non ben masticato.
Inoltre, nutrirsi voracemente può provocare flatulenza, accumulo di gas nello stomaco con conseguente distensione addominale e coliche.
Nella peggiore delle ipotesi il rischio è anche quello di una torsione gastrica, anche se non tutte le razze sono predisposte a questa terribile evenienza.

Un errore tipico dei proprietari, che può favorire la comparsa di questo problema, è quello di maneggiare continuamente il cibo del cane, ritardandone l’ingestione. Questo atteggiamento è sbagliato, perché non servirà assolutamente a rallentare il momento del pasto, anzi. Al prossimo tentativo, il cane mangerà ancora più velocemente. Quindi evitate di spostare la ciotola, alternarla tra un cane e l’altro, giocare a far finta di dargli un biscottino, per poi toglierglielo.

Nel caso in cui abbiate più di un cane, la soluzione è sicuramente farli mangiare separati. Mettendoli in stanze diverse, infatti, ridurrete la competizione alimentare, e il problema dovrebbe risolversi in poco tempo.
In alternativa, se abbiamo un solo cane, potremmo provare a spargere il contenuto della ciotola sul pavimento in circa 4mq. Facendo in questo modo, il cane dovrà spostarsi di qualche passo per ingerire il cibo, e verso la fine addirittura mettersi a cercare quello che è rimasto per terra.

I passaggi corretti da eseguire per evitare questo atteggiamento sono riempire la ciotola con il suo alimento abituale e chiamarlo con tono calmo e placato. Dopo averlo fatto sedere, aspettiamo che smetta di abbaiare, uggiolare e saltellare. Solo una volta che sarà perfettamente calmo, potremo iniziare a poggiare lentamente la ciotola verso il pavimento. Non appena torna a sollevarsi o tenta di avvicinarsi, riportiamola su, chiedendogli nuovamente di sedersi. Dovrà capire che saremo noi a dirgli quando potrà cominciare il pasto. Per i primi tentativi, è sufficiente che resti seduto anche per pochi secondi, ma l’importante è che la ciotola rimanga sul pavimento mentre il cane è fermo. A questo punto potremo allontanarci, lasciando che mangi da solo e torniamo dopo una decina di minuti per rimuovere la ciotola, che sarà ormai vuota. Fondamentale che il cane capisca che non toglieremo la ciotola affinché lui non avrà finito di mangiare.

Per rallentare l’assunzione del cibo, possiamo optare anche per delle ciotole apposite, disegnate in modo da rendere più difficile l’ingestione dell’alimento, grazie alla presenza di piccoli blocchi all’interno, che il cane dovrà evitare per raggiungere la pappa.
Ottimi anche i giocattoli che si possono riempire con il cibo, che però sono utili soprattutto per snack e bocconcini, piuttosto che per un pasto completo. Questi due metodi offrono anche l’enorme vantaggio di calmare il cane e di aumentare la sua capacità di concentrarsi sull’attività che sta svolgendo.

 

L’Alano Tedesco

L’alano tedesco, è una razza canina molossoide di taglia gigante ritenuta tradizionalmente aristocratica ed elegante.
Molosso nei tratti del muso e nella struttura ossea imponente, si differenzia dalle altre razze per l’altezza e per la struttura slanciata.
I membri di questa razza sono in genere apprezzati come efficienti cani da guardia e da caccia ma sono principalmente cani da compagnia per la loro innata sensibilità e mancanza di aggressività. Gli alani sono, insieme ai levrieri irlandesi, le razze canine più alte: nel 2010 un cane di questa razza venne infatti proclamato il cane più alto del mondo con ben 109 cm di altezza al garrese.

In molti paesi viene chiamato “danese” erroneamente, in quanto l’alano è di nazionalità tedesca. L’equivoco nasce da una tavola disegnata dal naturalista francese George Buffon, che denominò appunto questo cane come Grand Danois. La nazionalità tedesca della razza venne codificata in un primo momento nel 1878 a Berlino, quando un gruppo di allevatori decise di catalogare sotto il nome di Deutsche Dogge diversi gruppi di cani dalle caratteristiche molto simili provenienti dalla regione sud occidentale della Germania, e successivamente nel 1880, quando fu redatto il primo standard, e nel 1888 quando venne fondato il Deutsche Doggen Club.

Il nome “Alano” usato in Italia venne adottato ufficialmente nel 1920.
Divennero ben presto dei veri e propri cani da caccia, che si muovevano quasi sempre in muta, con le orecchie tagliate per evitare di venire feriti dalla preda afferrata con le potenti mascelle, non per ucciderla ma per trattenerla in attesa dei cacciatori.
Poiché la tecnica di caccia consisteva nell’inseguimento al fine di stancare la preda, alcuni studiosi sostengono che, per associare alla resistenza una maggiore velocità, l’alano sia stato incrociato con il levriero.
Il suo essere stato cane da guerra, lo faceva eccellere, oltre che nel combattimento e nella lotta, anche come difensore del padrone, attento custode degli interni dei castelli e delle case dei nobili.

L’alano è stato incrociato con levrieri tedeschi e con il vecchio mastino tedesco dandogli il fisico da levriero e il muso da mastino.
L’altezza di un alano può raggiungere anche i 100cm al garrese, per una media di ben 80kg di peso. La sua forza e prestanza fisica è ben nota e visibile. Il mantello è lucido a pelo corto, il che lo rende facilmente gestibile per essere accudito e spazzolato.
Il colore è vario: esistono infatti alani di colore fulvo, grigio, bianco e tigrato.

Nonostante la sua stazza che potrebbe intimorire, l’alano è considerato un gigante buono, poiché il suo carattere è molto dolce, sensibile e affettuoso. Questa inclinazione mansueta lo rende, quindi, un ottimo cane da compagnia, ancor prima di essere un cane da guardia.

È molto tenero con i bambini e adora giocare. Ama anche il contatto fisico con il suo padrone e non ama la solitudine, che lo potrebbe rendere chiuso e depresso, fino a diventare, nei casi peggiori, aggressivo.

Il suo habitat ideale è la campagna, dove può avere a disposizione ampi spazi per correre e giocare con la famiglia dei suoi padroni e dove può sfogare liberamente i suoi ululati.
Essendo un cane di dimensioni giganti, è necessario essere consapevoli dell’impegno a cui si va incontro, sia in termini economici per il suo mantenimento, sia in termini di tempo ed energie, per la necessità di farlo muovere spesso e a lungo.
Proprio per questo motivo è fondamentale iniziare un addestramento fin da cucciolo.

 

San Bernardo: il Cane delle Nevi

Le origini di questa famosissima razza canina risalgono alla metà del XVII secolo.
Infatti, i primi cani, allora non identificabili con l’attuale razza, vennero donati ai canonici residenti presso l’Ospizio situato al Colle San Bernardo per la guardia e la protezione dai malintenzionati.
Successivamente vennero adoperati anche per numerosi altri impieghi, dal trasporto di piccoli carichi come latte e formaggi, alla fornitura di forza motrice.
Ben presto questi cani furono utilizzati per accompagnare i viaggiatori e soprattutto per ritrovare e salvare quelli che si erano persi nella neve e nella nebbia.
Le cronache, pubblicate in varie lingue, di come questi cani salvarono un gran numero di vite umane, diffusero, nel XX° secolo, la fama del San Bernardo in tutta l’Europa.
Il Club Svizzero del San Bernardo fu fondato a Basilea il 15 marzo 1884 e in occasione di un congresso internazionale di cinologia, il 2 giugno 1887, il San Bernardo fu riconosciuto ufficialmente come razza d’origine svizzera.

La denominazione Cane di San Bernardo, dal santo di Aosta, venne adottata per la prima volta nel 1862, in occasione di un’esposizione cinofila presso Birmingham, e si iniziò ad usare universalmente verso il 1880.
Già a partire dalla metà del XIX secolo ci si era resi conto dei danni causati dalla eccessiva consanguineità tra i riproduttori presenti presso l’allevamento dell’Ospizio, e si decise dunque di ricorrere all’incrocio con il cane di Terranova, ritenuto il più adatto per similitudini fisiche ed attitudinali.

Nei primi anni del XX secolo la razza si era diffusa in tutta Europa, ma la popolarità, come spesso accade, portò anche ad alcune deviazioni rispetto alla tipologia originale. Vennero introdotti incroci con Mastiff inglesi ed altre razze, unitamente ad una selezione volta ad accentuare in modo caricaturale le caratteristiche di mole, rivolte a fattori esclusivamente “estetici”, a discapito spesso della funzionalità.
Il recupero del cane di San Bernardo, in una chiave di bellezza funzionale e zootecnica, deve molto all’opera del grande cinologo italiano Antonio Morsiani, importante allevatore e studioso della razza che, con il suo Allevamento del Soccorso, contribuì in modo determinante alla salvezza ed alla rinascita morfologica e funzionale del San Bernardo nel dopoguerra in Italia ed in Europa.

La testa, caratterizzata dalla spiccata convergenza degli assi longitudinali del cranio e del muso, è la più voluminosa dell’intera specie canina ed esige assoluta priorità nel giudizio morfologico sul tipo. Il cranio è nettamente brachicefalo e il muso è piuttosto corto. Gli arti sono lunghi e gli angoli del posteriore solo moderatamente angolati per consentire una migliore spinta in salita.
Il San Bernardo è uno dei cani più grandi: può superare i 95 cm al garrese e i 100 Kg di peso. La grande mole non deve mai però andare a discapito della funzionalità e del buon movimento: si tratta infatti di un vero “atleta pesante” in grado anche, se ben selezionato, di portare la sua altezza ed il suo peso con estrema disinvoltura ed eleganza. L’altezza minima al garrese deve essere di 70 cm per i maschi e 65 cm per le femmine: mediamente, i maschi raggiungono e superano un’altezza di circa 80 cm, mentre le femmine di 75 .

Come tutti i molossoidi, è sempre molto attaccato al proprio padrone e a coloro che considera amici, particolarmente ai bambini con i quali ha un ottimo rapporto.
È inoltre un cane molto socievole, con una forte personalità ed è noto per il suo carattere equilibrato. Determinato, pronto alla guardia e al controllo del territorio senza essere mai aggressivo con l’uomo.
Ad oggi sono riconosciute due varietà di San Bernardo: a pelo corto e a pelo lungo. Entrambe sono di taglia considerevole e hanno un aspet

Allevamento di Quaglie: Struttura, Alimentazione e Sessaggio

Allevare le quaglie non è affatto difficile: questi piccoli esemplari, infatti, possono essere buoni animali da allevamento e nelle piccole realtà contabile in quanto non necessitano di particolari cure e costi per il mantenimento in generale.

La quaglia è un grazioso uccello che pesa tra gli 80 e i 100 grammi.

Questo uccello è molto prolifico, produce un buon numero di uova e dunque si può usare sia per la produzione delle pregiate 
uova di quaglia, sia per la produzione di carne.
La riproduzione con la conseguente deposizione delle uova avviene già al secondo-terzo mese di vita.

Ipotizzando di avviare un allevamento di circa 20 esemplari, è necessaria una voliera di almeno 4 m2 poggiata a terra.
Il fondo dovrà essere formato da circa 3cm di sabbia delimitati da un perimetro fatto di mattoni che funge da base alla struttura.

Gli accessori necessari per l’allevamento delle quaglie sono principalmente una mangiatoia, un abbeveratoio, un nido per la deposizione delle uova, una rastrelliera con all’interno verdure fresche ed erba e una zona destinata al passeggio.

Il nido, per praticità, dovrà essere accessibile anche dall’esterno così da consentire la raccolta delle uova.
Le quaglie, a differenza degli altri volatili, non necessitano di posatoi in quanto preferiscono camminare a terra tra erba e cespugli invece che appollaiarsi sui rami.

Spesso, per esigenze pratiche, la riproduzione della quaglia viene affidata ad un’incubatrice artificiale. Invece, se oltre a produrre uova di quaglia s’intende anche allevare la quaglia per la produzione di carni destinate all’autoconsumo, si dovrà procedere alla raccolta delle uova destinate alla riproduzione e alla cova.

Il maschio riproduttore può essere impiegato per tre cicli di allevamento.
Per la riproduzione, basterà prelevare 15 uova di quaglia da incubare o da destinare alla cova sfruttando una chioccia gallina nana. La gallina nana chioccia può arrivare a covare, in modo efficiente, fino a 25 uova di quaglia per ogni covata.

Per mantenere l’allevamento quaglie sarà indispensabile tenere pulita la voliera ma soprattutto, alimentare gli uccelli su base giornaliera.
Per i riproduttori si usa un normale mangime per pulcini, mentre per l’alimentazione della quaglia in accrescimento, si usa un mangime per pulcini identico a quello impiegato per il primo mese. I mangimi appena descritti devono essere affiancanti da erbe e verdure che non devono mai mancare nella voliera ed essere quindi sempre a disposizione sia dei riproduttori che delle quaglie che stanno crescendo.

Quando l’allevamento quaglie è ben avviato e gli esemplari si avvicinano alla maturità, oltre a verdure ed erbe bisognerà somministrare una miscela costituita da tre parti di mangime per pulcini e una parte di mais macinato finemente.

Per distinguere i maschi dalle femmine, per prima cosa, è utile osservare il collo: la quaglia femmina presenta la gola bianca con piccole macchie nere sul petto; nel maschio, invece, il piumaggio della gola e il centro del mento sono neri mentre il petto è rossastro e mancano, quindi, le macchie nere presenti sul piumaggio della femmina.
Il dimorfismo sessuale è conclamato negli esemplari adulti mentre nelle forme giovanili è più difficile distinguere i sessi. Gli esemplari giovani sono simili alla femmina ma i maschi hanno il petto meno macchiato.

 

Come effettuare una Corretta Speratura delle Uova

Nei 21 giorni in cui le uova sono in cova si effettua la speratura per capire se il pulcino si sta formando correttamente.
In effetti, guardare l’uovo così com’è, scuoterlo o, ancora peggio, aprirlo non consente di capire come si sta sviluppando l’embrione senza danneggiarlo.
La speratura si effettua utilizzando la luce e non crea nessun danno.

Andrebbe effettuata massimo 2 volte nei 21 giorni, questo per evitare che sbalzi di temperature uccidano l’embrione e per non stressare la chioccia che sta covando. 
Un uovo non fecondato, durante la speratura, appare chiaro e trasparente: non si vedranno né vene né ombre.
In un uovo fecondato di 6 giorni si noterà una zona molto chiara che è la camera d’aria dell’uovo mentre dall’altra parte si vedranno un piccolo groviglio di vene e un piccolo embrione scuro che fluttuano all’interno.
Nelle uova feconde di 15 giorni l’embrione ha quasi occupato tutto lo spazio disponibile e si noterà una zona scura
 mentre nel polo ottuso si vedrà una zona chiara che è la camera d’aria.

Si consiglia di effettuare la prima speratura tra il 6°-8° giorno e poi ripeterla verso il 16°-18° giorno. Purtroppo, non tutte le uova covate si schiuderanno. È importante identificarle subito ed eliminarle perché marcirebbero e potrebbero scoppiare contaminando il resto delle uova e generando un ambiente non idoneo per lo sviluppo delle altre uova sane.
Importante è evitare la speratura negli ultimi 3 giorni perché le uova non devono essere spostate o girate prima della 
schiusa. Inoltre, in questi giorni il pulcino è già formato e si vedrà solo un’ombra scura.

Per una corretta e sicura speratura consigliamo di acquistare una lampada sperauova professionale, per permetterà di controllare lo stato di salute dell’embrione illuminando il contenuto dell’uovo.
Usare questo strumento non è difficile, ma è necessario avere alcuni accorgimenti per non causare un funzionamento anomalo e, soprattutto, danneggiare l’uovo.
In particolar modo, la lampada sperauova deve essere appoggiata alla parte arrotondata dell’uovo, permettendo così una chiara visione della membrata: l’aderenza della lampada alla superficie dell’uovo potrà essere effettuata appoggiando la parte morbida posta all’estremità, che garantisce che il fascio di luce passi solo attraverso l’uovo e non si disperda nell’ambiente.
Compiendo questa operazione, è fondamentale ricordarsi che l’uovo incubato non deve mai esser poggiato sopra lo sperauova, ma deve sempre trovarsi al di sotto di esso, con la parte arrotondata rivolta verso lo sperauova, in corrispondenza della camera d’aria. È questo, infatti, il modo migliore per vedere bene la membrana di separazione dalla camera d’aria.

Una lampada sperauova efficace funziona con lampadine di potenza pari ad almeno 15 Watt / 220-240 Volt.

 

La Tricomoniasi nei Volatili: Sintomi, Cure e Rimedi

La Tricomoniasi è una malattia che colpisce varie specie di volatili come colombi, galline, pappagalli ed uccelli, con sintomi variabili a seconda della specie colpita.
Analizzeremo di seguito i metodi per riconoscere la sintomatologia della tricomoniasi e come intervenire in questi casi.
Questa malattia è un’infezione causata da un genere di protozoi parassiti chiamati Trichomonas.
Questi batteri attaccano solitamente le cavità superiori dell’apparato respiratorio e digerente come la bocca, il gozzo, i seni paranasali, la faringe e talvolta la trachea.
Se non trattata in tempo, può essere fatale, e può trasmettersi velocemente tra il soggetto malato ed i soggetti sani.
Nella maggior parte delle volte, la trasmissione avviene:

·        Bevendo acqua contaminata con deiezioni o secrezioni del soggetto malato;

·        Con il contatto diretto con uccelli selvatici portatori, come i piccioni;

·        Da genitori infetti, che possono anche essere portatori sani.

I sintomi possono essere molteplici e variano a seconda della specie colpita. Tra i più diffusi troviamo:

–      Ali basse, piumaggio arruffato. Il soggetto può sembrare attivo, ma nella maggior parte del tempo rimarrà apatico;

–      Perdita di peso, petto a lama di coltello dovuto al progressivo dimagrimento;

–      Placche purulente all’interno della bocca, ed ai lati del becco;

–      Formazione di muco, con starnuti e rigurgiti;

–      Inappetenza causata dalle placche purulente presenti nella bocca e nell’esofago, molto dolorose per l’animale.

Nei canarini, cardellini ed in altri uccelli, la tricomoniasi si manifesta con la lacrimazione (congiuntivite) e progressivo gonfiore delle zone intorno agli occhi, per poi evolversi in una infiammazione purulenta delle ossa del cranio.
Come evitare e prevenire l’infezione da Tricomoniasi? Semplicemente evitando il sovraffollamento nelle gabbie, lavando mangiatoie ed abbeveratoi frequentemente ed evitando il contatto diretto di tortore e volatili selvatici con il nostro gruppo di animali.

La tricomoniasi si cura con farmaci antiprotozoari, come dimetridazolo e metronidazolo.
Il prodotto che solitamente si usa in questi casi è il Metridol 10% di Chemifarma, un anti-protozoario per il trattamento della tricomoniasi. Il trattamento con questo farmaco è molto semplice in quanto la polvere si somministra all’interno dell’acqua da bere.

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